White bird down

In un’intervista Penélope Cruz parlava dei pericolo dei social media, e insieme ad altri ospiti si commentava tossicità di Twitter. Fino a nemmeno una settimana fa non sarei stata così drastica nella definizione. Sì, ho sempre riconosciuto la sua parte più brutta e credevo di essere in grado, non dico di arginarla, ma almeno disinnescarla. Finché non è arrivata quest’ultima maledetta guerra alle nostre porte. L’avidità di saper di più, complice col meccanismo compulsivo dello scroll con le dita (non ricordo dove ho letto che anche quel gesto che ci sembra stupido è stato studiato con dettaglio per incrementare la addizione, come se si trattasse di una qualsiasi droga), mi faceva aumentare il tempo giornaliero di esposizione, oppure controllare l’app in orari inverosimili.

Alle immagini e i racconti di quello che sta succedendo si unirono presto i vari se, ma, però, quel solito gne gne gne che mi può risultare simpatico nei dibattiti innocenti del tipo “la carbonara, con cipolla?” (anche se sono sicura che non pochi drammi si sono svolti in quel senso) ma che quando si tratta di una questione di tale portata, che ha e ne avrà delle conseguenze pesanti, il mix di tragedia vera nei tuit, con cattiveria, superficialità, la mancanza più assoluta di empatia o intelligenza nelle risposte, mi si fece, all’improvviso, impossibile da sopportare. Così, ormai quasi una settimana fa, mentre allo stesso tempo piangevo e mi incazzavo, cancellai l’app dal cellulare e tablet e non ci sono entrata da allora. Non è arrivato ancora il momento del logout definitivo e prima o poi ci tornerò a mettere piede virtuale, ma non senza adottare le misure basiche di profilassi: schermata “home” disattivata (senz’ombra di dubbio la parte più tossica della rete più tossica), non leggere i commenti dei tuit più virali, evitare la pagina “in tendenza” e non entrare in nessuna discussione. Il classico “non sono d’accordo con te” e relativa spiegazione sono quasi completamente inutili; nel caso ci sia un certo legame o simpatia con chi scrive, ci sono altri mezzi, dai MP alle mail per spiegare le proprie idee, e nel caso di non conoscerlo, con un singolo tuit probabilmente la spiegazione finisca in una mutua irritazione. Quindi quid prodest? (per i raffinati – il concetto si esprime lo stesso con sti cazzi).

In questi giorni il tempo dedicato allo scroll compulsivo è stato dedicato alla lettura di testate online (ci sono scappati anche un paio di abbonamenti) e alla riflessione in solitudine. Investo qualche euro al mese (finché posso permettermeli) per informarmi altrove, ma ne ho guadagnato in serenità. Quando rientrerò, farò tutto il possibile per non alimentare il mostro, finché lo sti cazzi sarà di tali dimensioni da portarmi al log out definitivo.